Estate,
tempo di viaggi e di vacanze. Com’è prevedibile non mi spaventa
spostarmi guidando: l’auto è versatile, non ha orari o fermate
obbligate, concede una notevole libertà; non è il mezzo perfetto,
ma presenta alcuni innegabili vantaggi. Tra gli svantaggi, il fatto
di non poter percorrere più di un migliaio di km al giorno e al
patto di fermarsi lungo il tragitto solo per eventuali soste tecniche
di rifornimento o di indispensabile relax: guidare è piacevole,
d’accordo, ma le pause per sgranchirsi le gambe e riposare gli
occhi sono vitali. Oltre a questo, se i giorni a disposizione sono
pochi trascorrerne la maggior parte al volante non sempre è una
soluzione attraente, meglio sfruttare un aereo o un treno, quindi per
non rinunciare del tutto alle quattro ruote ogni tanto mi piace cogliere l'occasione di affittare un’auto sul posto: oltre
all’indipendenza già ricordata prima, c’è anche il divertimento
della sorpresa di scoprire quale mezzo mi troverò a guidare nel mio
viaggio. La
prima volta che ho avuto questo piacere risale al 2002, in occasione
di un viaggio oltreoceano organizzato per incontrare alcune
ramificazioni della famiglia presenti negli Stati Uniti e al contempo
trascorrere qualche giorno a zonzo per gli sterminati stati del West,
rimasti fino ad allora scenari ammirati al cinema o in televisione.
Il viaggio prevedeva la partenza da San Diego per raggiungere il
versante sud del Grand Canyon attraversando l’Arizona,
un’immersione nel panorama della Monument Valley, il superamento
del fiume Colorado passando dalla diga sul Glen Canyon, la visita al
Bryce Canyon, una tappa a Las Vegas e la corsa finale verso San
Francisco, fermandosi a Mammoth Lakes e allo Yosemite National Park:
circa 3000km, pardon, 1850 miglia, in una decina di giorni. L’auto
che mi ha stoicamente trasportato in tutti questi luoghi è stata
lei:
la
Chevrolet Cavalier, una simpatica berlina 3 volumi spinta da un
motore 4 cilindri 2,2 litri da 115cv. La prima impressione è stata
particolare: all’epoca avevo una Toyota Yaris 1,3l piuttosto
scattante, poco assetata di benzina e ricca di accessori, seduto al
volante della Cavalier mi sono trovato un mezzo decisamente spartano, privo di alzacristalli elettrici ma dotato di cruise
control e imprescindibile climatizzatore, il cui compressore però si
spegneva quando la richiesta di potenza aumentava, ad esempio in
salita e con un motore la cui pigrizia era evidenziata dal cambio automatico a
quattro marce. Le sospensioni ‘americane’ e le generose dimensioni del
corpo vettura, 4,6 metri di lunghezza, la rendevano confortevole,
spaziosa e dotata di un bagagliaio estremamente capiente, ottimo per
ospitare tutti i bagagli ed eventuali souvenir da raccogliere in
viaggio. Nonostante la prima impressione un po’ sconcertante,
dovuta prevalentemente al confronto tra la giapponesina cui ero
abituato e questa ‘compact’ dall’assetto morbido e dal motore
quieto, ho fatto presto amicizia con la Cavalier: per viaggiare a
velocità da codice non servono potenze elevate o motori V8, ma un
mezzo in grado di portarti a spasso comodamente per tutta la durata
del viaggio, cosa che questa auto ha fatto molto onestamente,
accompagnandomi in vari luoghi memorabili.
Il
giro in Lombard Street, una delle strade più famose di San
Francisco, ha visto la fine dell’idillio, perché alla conclusione
della giornata in città si è accesa sul cruscotto la spia dell’OBD,
con l’indicazione ‘Check Engine’: la Cavalier, dopo aver
attraversato deserti e canyon, stava chiedendo una meritata pausa,
fortunatamente in un luogo dove fosse facile rimediare
all’inconveniente. Dopo averla ringraziata, fotografata e
riconsegnata alla sede locale della Alamo ho ricevuto in sostituzione
una Mitsubishi Lancer: motore più piccolo e brillante, interni più
ricchi e assetto leggermente più rigido, un ottimo mezzo per i
restanti giorni di noleggio, ma la gita ai Muir Woods e il successivo
viaggio da Frisco a Reno non sono stati sufficienti per instaurare un
feeling anche solo paragonabile a quello creatosi con la bolsa ma
instancabile Cavalier.
Una
riflessione sulle mappe, oggetti che sembrano appartenere ad un’epoca
remota: queste carte stradali ci hanno permesso di attraversare
quattro stati raggiungendo ogni meta senza particolari imprevisti,
con l’unico incomodo di dover talvolta gestire ampi fogli
spiegazzati all’interno dell’abitacolo. Considerando la quantità
di simulazioni che in questi anni ho compiuto su Google Maps prima di
affrontare ogni viaggio, ogni tanto mi domando se ne sarei ancora
capace; e mi viene voglia di ripartire, armato di cartine, per un
viaggio un po’ più avventuroso...